La cosa più bella che mi lascerà quest’anno di letture che si sta per chiudere è la scoperta di due scrittrici di straordinaria qualità e capaci di dare vita, con i loro libri, a universi riconoscibili e coerenti. Olga Tokarczuk e Marlen Haushofer provengono dalla cosiddetta Mitteleuropa – una è polacca, l’altra austriaca – ed entrambe sono state introdotte in Italia da Edizioni E/O (ora Tokarczuk è di casa Bompiani). Tuttavia, nella mia esperienza, esauriscono qui le loro affinità: caratterizzate da contenuti e stili ben distinti, mi è venuto spontaneo ricondurle a due polarità in mezzo a cui si muovono, come cursori impazziti, il mio gusto di lettore e la mia identità.
Nel 2023 ho letto una sessantina di libri, ma i loro quattro – due ciascuna – a cui mi sono dedicato hanno continuato a germogliare (Tokarczuk) o graffiare (Haushofer) dentro di me a distanza di mesi. Il libro più importante di Tokarczuk è “I vagabondi”: un libro-libero, dai confini sfumati e perfettamente in equilibrio pur non avendo un centro. Raccoglie le storie di personaggi che, a un certo punto, prendono una deviazione dalla quotidianità per vagabondare in preda a un desiderio non più reprimibile o un istinto che quella sia la cosa giusta da fare. Queste storie tenere, drammatiche e commoventi, dal lieto fine oppure no, si intersecano generando un libro arioso, umano, che infonde una speranza e una fiducia incredibili nel mondo. Haushofer, invece, è associata soprattutto a “La parete”, un romanzo dalla trama definita e i confini invalicabili. La parete del titolo è trasparente, di materiale infrangibile e freddo simile a plastica dura, e circonda la casa di montagna in cui si trova la protagonista. “La parete” è il diario senza capitoli, a voce sola, che racconta la sopravvivenza a queste condizioni estreme, tra solitudine e risorse che via via vengono meno. Dopo “I vagabondi” e “La parete” (da notare il contrasto eloquente dei titoli), ho approfondito la conoscenza delle due con “Nella quiete del tempo” e “Un cielo senza fine”, meno noti ma pronti a inserirsi nei solchi lasciati dentro di me dai riconosciuti capisaldi di Tokarczuk e Haushofer. Nel primo caso abbiamo la saga di un paesino inventato, Prawiek, che supera guerre, invasioni e distruzioni per mostrarci il senso del tempo e delle relazioni umane con uno sguardo capace di abbracciare la Storia; nel secondo l’infanzia di una bambina troppo intelligente ed esigente per la sua età che vede crescere un muro sempre più spesso tra lei e la sua famiglia e ama rifugiarsi sul fondo di una botte per godersi un cielo tutto suo, fatto di blu.
La produzione di Tokarczuk trasmette un senso di apertura e sensibilità e la sicura tranquillità di chi conosce il mondo e sa perdonarlo nelle sue storture, tanto quanto quella di Haushofer comunica angoscia e il senso di ristrettezza e sottile paura che caratterizza chi non riesce a far pace con se stesso o gli altri. Mi pare che questi due universi, così rappresentativi di quello che sento di essere oggi, trovino eco nelle carriere delle due scrittrici. Insignita del Nobel per la letteratura nel 2018, Tokarczuk è letta in tutto il mondo: oltre alla scrittura, ha una fondazione che segue progetti intorno ai libri, le arti, le persone e le culture in generale. Morta di malattia nel 1970, Haushofer è stata presto dimenticata e il suo “La parete” riabilitato più tardi, negli anni ’80, per i preziosi richiami ai temi dell’ambientalismo e del femminismo. I libri della prima si trovano in qualsiasi libreria, della seconda si può reperire facilmente “La parete” e difficilmente, scavando nell’usato, gli altri titoli. Trovo improbabile che i due nomi si ritrovino uniti al di fuori di questo testo: epoche, stili e destini troppo distanti. Eppure ci tenevo tanto a far incontrare anche solo per un momento Tokarczuk e Haushofer, scrittrici opposte ma in grado di fotografare l’una quel qualcosa di vivo e l’altra quel qualcosa di morto che in tanti intravediamo alla fine di ogni anno. Incontri come questo li rende possibili solo la lettura: non l’editoria, non l’accademia, non lo sforzo degli eventi, ma la mente di un individuo che legge, legge, legge e, come per magia, sa.